Che cos’è per te il coaching? Audra Bertolone intervista Lia Ferrario
(i∂–m) ψ=0
L’equazione di Dirac postula che quando due particelle entrano in contatto per un periodo prolungato di tempo e poi si separano nuovamente l’effetto che l’una ha avuto sull’altra permane anche dopo essersi separate.
In questa equazione di fisica quantistica ritrovo la magia del coaching che si manifesta nella relazione tra coach e coachee, nella quale i due co-creano una partnership basata sulla fiducia, sulla responsabilità, sull’avere obiettivi comuni e perseguirli al meglio delle proprie capacità.
Entrando in una relazione di coaching il coachee accetta la responsabilità del raggiungimento dei propri obiettivi, garantisce di essere onesto e trasparente nell’affrontare gli argomenti che egli stesso propone e ha la certezza di trovare uno spazio sicuro, nel quale il giudizio nei suoi confronti viene sospeso e nel quale tutto ciò che viene detto è assolutamente confidenziale e riservato.
In questo spazio nasce la magia: Cosa mi rende felice? Cos’è per me il ben-essere? Come so di essere sulla strada giusta?
Domande Fatidiche, che chiunque di noi prima o poi si pone in qualche momento della sua vita, hanno bisogno di spazio e di tempo per poter essere comprese, pensate, digerite. Hanno bisogno di un ascoltatore curioso, attento, empatico, che sa farci sentire non giudicati ma accolti nella nostra vulnerabilità.
Io, che ero piena di domande alle quali cercavo alacremente di dare risposta, ho scoperto nel coaching che a volte trovare la risposta non è poi così necessario quando sappiamo esplorare veramente la domanda. Quando riuniamo il nostro corpo e la nostra mente, quando siamo presenti a noi stessi, è più importante sentire la domanda formarsi nella nostra mente, sentirla gonfiarsi nella nostra pancia, sentire la sua energia che mette in moto pensieri e riflessioni. È dalle domande che nasce la consapevolezza, dal coraggio di porle a se stessi, dal coraggio di non darsi delle risposte preconfezionate. La vera padronanza nasce dalla possibilità di esplorare le domande, non fermandosi alla prima risposta che nasce spontanea, ma andando oltre, cercando di capire da cosa nasce quella prima risposta, quali convinzioni fanno da suggeritore da dietro il sipario.
Il coachee ha il privilegio di poter salire sul palco, nella sua vulnerabilità, ed esprimere se stesso e di riflettere la sua immagine nel coach, che restituisce particolari e intuizioni che facilitano il processo. Questo processo, diciamocelo, non è una passeggiata tra le margherite. È bene che il coachee si armi di coraggio e di pazienza, che tenga saldo a sé il desiderio di evolversi, e non guasta mettersi in tasca anche qualche etto di autoironia. D’altra parte, a chi piace sollevare il tappeto e andare a guardare quanta polvere vi è stata nascosta sotto? A chi piace aprire l’armadio e guardare gli scheletri alla luce impietosa del giorno? A chi piace smettere di ignorare la pila di panni da stirare che ci osserva minacciosa da dietro la porta della stanza? Ma la vera domanda è: come ci farebbe sentire averlo fatto? Aver eliminato la polvere da sotto il tappeto, aver dato degna sepoltura agli scheletri nell’armadio e aver deciso di stirare tutti quei panni o di non stirare mai più? Quali benefici può darci avere la possibilità di scegliere se lasciare il tappeto sul pavimento o metterlo via, che forse alla fine non ci piaceva neanche un granché, quel tappeto, ma finché copriva la polvere non avevamo scelta? Quali prospettive può aprire avere di nuovo un armadio a disposizione, dove mettere bene in vista tutto ciò che vogliamo avere a portata di mano per essere più efficaci? Quali possibilità apre l’aver deciso di non stirare mai più, di vivere stropicciati e felici, e avere tutto quel tempo in cui prima stiravamo o ci angosciavamo di dover stirare finalmente a nostra disposizione?
Il coachee è dunque il vero protagonista della relazione di coaching, responsabile dei suoi stessi risultati, mentre il coach è responsabile del processo. Questa, lungi dall’essere una mera specifica tecnica, racchiude tutta la potenza di questa relazione unica: il cliente conduce. Il coach riflette ciò che sente e percepisce, ma non da suggerimenti. Ciò permette al coachee di proseguire sul suo percorso grazie a se stesso.
Eppure.
Eppure in questa relazione così intima e profonda avviene che entrambi vivano nel flusso dell’altro, che mentre il cliente scopre delle cose di sé anche il coach scopra qualcosa di nuovo di sè. Ciò che il coaching mi ha insegnato è che entrare in empatia ed in intimità con una persona non ci fa scoprire solo qualcosa di lei, ma quasi sempre ci fa scoprire qualcosa di noi stessi. Come se individuassimo delle particelle di noi nelle vite altrui, e questo scambio così profondo e ricco ha un’influenza su entrambi ben oltre le ore di sessione che vengono condivise.
Permane, come un fragrante profumo di leggerezza.
Lia Ferrario
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